04 luglio 2013

Farfalle

R. si diverte a camminare per casa ancheggiando insieme alla sorella più piccola mentre indossano un paio di culotte nuove, giallo canarino per lei e azzurre per la sorella. Le spalline della canottiera cadono di continuo ma non appena la mamma le fa due notidini per stringerle, ricomincia a dimenare con forza i fianchi e amicca maliziosamente verso suo padre che ride.
La sorella maggiore ha il suo primo jilbab ma è ancora troppo lungo e striscia per terra. Suo padre si è dimenticato di portarlo dal sarto per farlo accorciare. 
E’ il suo corpicino esile a mostrare tutta la sua fragilità. ‘Ridi, ridi, arriverà anche per te il giorno in cui dovrai indossare il jilbab come tua sorella!’. Sono quelle parole a portare con sé improvvisamente la netta percezione e il sapore della sua assenza. E’ davvero come tenere in mano una farfalla.
Quei piccoli pezzi di plastica nera attaccati ai piedi e alle gambe cosicché la pelle resti umida e possano essere rimossi facilmente dalle ferite. Sua mamma li ritaglia in piccoli quadratini da un sacchetto della spesa e li sistema nell’armadio dove tiene garze e bende. Cosi’ proprio come vuole R. che rifiuta di fare i bendaggi alle gambe e alle natiche perchè vuole sentirsi libera. Siamo riusciti a convincerla solo a fare le medicazioni sulla grande ferita che ha sul collo e che non si rimargina mai. Per sua mamma questa è la cosa più importante. Fino a qualche mese fa portava l’hijab per nasconderla ma senza applicare nessuna medicazione. Erano ore di singhiozzi ogni sera mentre seduta a capo chino cercava di staccarlo dalla ferita, millimetro dopo millimetro con accanto sua mamma che di tanto in tanto versava dell’acqua per alleviare quella pena. Ma di fare i bendaggi alle natiche e alle gambe non se ne parla. Suo padre le ha fatto cucire un paio di pantaloncini in plastica, come quei pantaloncini che aumentano la sudorazione per dimagrire. In questo modo non deve rimuovere le medicazioni ogni sera ed è in grado di muoversi e andare in bagno con facilità senza paura che le ferite si siano attaccate ai pantaloni.
Il suo respiro affannoso culla la notte. Eppure si dorme, eppure ci si addormenta, eppure lei non vuole quella coperta bianca che le ricorda il sudario con cui vengono avvolti i bambini che muoiono.
La mattina appena sveglia resta a letto per riprendere le forze che sembrano averla completamente abbandonata durante la notte. La scuola è finita e ha tutto il tempo per fare le cose con comodo. Si arrampica su una vecchia sedia a rotelle e si fa portare in bagno. Avvolta nell’asciugamano si siede sul materasso davanti ad una stufetta elettrica a distanza ravvicinata, stamattina c’è l’elettricità. Il calore sembra ridare al suo corpo l’energia per un’altra giornata. Poco dopo eccola girare per casa, litigare con il fratello e le sorelle, riempire la casa come fanno tutti i bambini.
Oggi è il giorno del matrimonio di sua cugina, si va dalla vicina di casa a fare l’acconciatura e il trucco per la festa.


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